Intervista a Corrado Abbate

Jazzitalia
Jazzcom feat. Flavio Boltro - "Dummy and Human"
Intervista
a Corrado Abbate

Nell'immagine di copertina sono rappresentate delle teste di manichino che guardano in direzioni diverse, ma tutte identiche, con la stessa espressione. C'è una ragione che le ha fatto scegliere questo titolo, "Dummy and Human", associato a quest'immagine?
Un giorno, sfogliando una rivista, posai lo sguardo su una foto che ritraeva una donna in carne ed ossa accanto a un manichino (dummy) che le somigliava. A prima vista era difficile dire quali fossero l'una o l'altro. Quell'immagine scatenò in me una serie quasi incontrollabile di associazioni mentali: vero e falso, realtà e fantasia, io e non-io, uomini e no, suono e silenzio, e molte altre. In quel momento mi sembrò di afferrare l'essenza delle cose, di padroneggiarne l'ambiguità. Alcuni mesi dopo scrissi un brano, che venne fuori completamente diverso da come l'avevo pensato all'inizio. Mi tornò in mente la foto e, di conseguenza, il titolo. Il progetto del disco ne è scaturito in modo naturale. Si può dire che sia una sorta di riflessione sull'ambiguità (della vita, della musica, di noi stessi).

La caratteristica più evidente di questo disco è la sua trasversalità, il fatto di contenere un materiale musicale che va dall'hardbop alla fusion, ma che guarda anche alla musica popolare e a quella colta. Si potrebbe dire che ha cercato di condensare in questo disco tutte le sue passioni e influenze?
I componenti del Jazzcom Project sono tutti jazzisti di lungo corso, accomunati dall'aver avuto una iniziale formazione accademica (più o meno completa), ma anche esperienze in ambiti musicali diversi (jazz-rock, funky, latin e, più in generale, fusion). Era un tipo di approccio assai comune fra i musicisti che si sono formati negli anni ‘70-'80. Queste esperienze si sono stratificate nel tempo, dando origine a una sorta di eclettismo che oggi caratterizza la nostra musica. Anche il precedente lavoro discografico del gruppo ("Stultifera Navis") può essere riconducibile a quelle stesse matrici. Quanto alla musica popolare, mi è sempre piaciuto giocare con le belle melodie della nostra tradizione, cercando di reinventarle in chiave moderna.

Oltre al brano dedicato ad Art Pepper, l'unico altro riferimento evidente è quello a McCoy Tyner, in "Players and Games". Da quali musicisti le sono arrivate le maggiori ispirazioni?
Domanda difficile. Ho ascoltato di tutto, e lo faccio ancora. La mia evoluzione musicale è stata caotica e dispersiva. Da teen-ager, un po' di progressive e molto rock-jazz inglese (Soft Machine, Nucleus). Poco meno che ventenne ho scoperto il free-jazz (Ornette, Ayler, l'ultimo Trane e soprattutto Taylor). Poi ho ricominciato da Parker, Gillespie, Powell, Monk. Passaggi obbligati attraverso il quartetto di Trane e il quintetto di Davis (specialmente quello con Hancock e Shorter) e una lunga infatuazione per il Tyner del decennio '68-‘78. Poi funky-jazz e fusion (Brecker Bros, Steps Ahead, Weather Report), senza dimenticare Evans, Mingus, Rollins, Shaw, Silver, Tristano, Corea, Jarrett, Camilo, Rubalcaba, ma nemmeno Porter, Jobim, Bacharach, Crusaders, Wonder, Zappa, Manhattan Transfer, Spyro Gyra, Toto, Incognito. Ho comunque avuto una iniziale formazione classica e ho molto amato Frescobaldi, Bach, Scarlatti, Ciaikovskij, Satie. È una lista della spesa, e ne ho certamente dimenticati tanti.

Jazzcom ha già un percorso significativo alle spalle, tanto come gruppo, quanto per le diverse esperienze dei musicisti. Peraltro, all'interno di questa formazione ci sono anche dei musicisti che condividono con lei progetti diversi. Com'è capitato il vostro incontro, e che genere di rapporto vi lega?
Conosco Danilo Pala da una vita. Abbiamo suonato insieme centinaia di volte, in situazioni diverse, lo considero uno dei migliori contraltisti italiani in attività ed è sempre stato bravissimo a interpretare i miei brani. Gigi Di Gregorio è un tenorista molto originale, in costante evoluzione, con il quale ho condiviso negli ultimi anni preziose esperienze concertistiche e discografiche (Multiverse Jazz Quartet e Gigi Di Gregorio Ensemble). Fabio De March e Carlo Bernardinello, che ho conosciuto tramite Gigi Di Gregorio, oltre ad avere delle capacità solistiche non comuni, costituiscono una formidabile sezione ritmica, precisa, affiatata, straordinariamente duttile, perfetta per un progetto come questo. C'è molta affinità fra di noi. È un piacere suonare in questo gruppo, una vera e propria "macchina da guerra" che ti dà sempre sensazioni forti.

In questo disco, ospite su alcune tracce, è la tromba di un fuoriclasse come Flavio Boltro. Perché ha voluto proprio lui a impreziosire le sue composizioni?
Flavio è torinese come me, anche se da alcuni anni vive in prevalenza a Parigi. Ci conosciamo da sempre (siamo quasi coetanei) ma, al di là di alcune situazioni occasionali, non avevamo mai collaborato seriamente. Era da un po' di tempo che, quando ci incontravamo, ci dicevamo che prima o poi avremmo fatto qualcosa insieme. Appena è stato possibile lo abbiamo fatto. Essendo, per l'appunto, un fuoriclasse, ha saputo inserirsi perfettamente nel sound del gruppo e credo che il risultato sia andato al di là delle migliori aspettative.

Lei è cresciuto e si è formato professionalmente a Torino, in quella che soprattutto tra gli anni Settanta e Ottanta era una delle scene jazzistiche più fertili del paese. Che ricordi ha di quel periodo?
C'era un interesse crescente per il jazz e musica dal vivo dappertutto. Anche nelle iniziative pubbliche, specialmente estive, veniva dato spazio ai musicisti locali, che avevano la possibilità di esibirsi con ospiti importanti. I locali erano pieni e i musicisti (ancora relativamente pochi) si facevano le ossa davanti a un pubblico non di rado competente. Un po' alla volta, fra SIAE, Enpals e Agenzia delle Entrate, è stata resa la vita impossibile alla maggior parte di questi locali (molti di essi ospitavano non più di 30-50 persone), che non riuscivano più a sopravvivere economicamente e a garantire i cachet ai musicisti. Gli spettacoli dal vivo cominciarono a ridursi, l'interesse delle nuove generazioni calò, mentre il numero degli aspiranti musicisti era sempre più alto. Alla fine sono spariti anche i finanziamenti pubblici. Ed eccoci al punto in cui siamo. Ma questo vale per tutta l'Italia, non solo per Torino. Nonostante tutto, ritengo che il livello qualitativo dei musicisti locali sia ancora piuttosto alto.

Tra i grandi musicisti con i quali ha avuto occasione di suonare c'è stato anche Mike Mainieri, il celebre vibrafonista leader degli Steps Ahead. Come andò?
Il batterista di Jazzcom, Carlo Bernardinello, aveva conosciuto Mainieri durante un festival, e si era procurato i suoi recapiti. Nel 2006, quando è uscito il primo disco di Jazzcom ("Stultifera Navis"), Carlo ne ha spedite alcune tracce a Mike, per averne un parere. Mike ha risposto complimentandosi e Carlo gli ha subito proposto di venire a suonare con noi in Italia. Con un modesto finanziamento pubblico, Carlo è riuscito a organizzare un piccolo tour nel settembre successivo. Un'esperienza indimenticabile. Per molti di noi Mainieri è stato un mito e gli Steps Ahead punti di riferimento imprescindibili. Abbiamo constatato che, oltre ad essere un musicista incredibile, è anche un uomo molto gentile, simpatico, disponibile. Ci siamo ritrovati a suonare insieme a lui gli stessi brani ascoltati tante volte con stupore sui suoi dischi. E non so descrivere le mie sensazioni nel sentire Mainieri suonare i miei brani…

C'è un progetto che non ha ancora avuto modo di realizzare e che potrebbe concretizzarsi nel prossimo futuro?
Uno dei sogni è quello di fare un disco di piano solo, ma non mi sono mai sentito abbastanza bravo per farlo. Sarebbe anche quello un lavoro eclettico. Nell'occasione mi piacerebbe riprendere concetti sviluppati in passato sulla base di strutture modulari o pseudo-seriali che si ricollegavano, in qualche modo, a Cecil Taylor. Non so se ne avrò mai il tempo e la forza. Un'altra vecchia idea è quella di lavorare sulla musica dei Soft Machine, per vedere cosa ne può venir fuori oggi, in un'ottica più espressamente jazzistica e contemporanea. Per me sarebbe come un ritorno alle origini. Rischioso ma affascinante. Ma questi obiettivi mi sembrano ancora lontani. Nel prossimo futuro ci sarà invece certamente un altro disco con il Multiverse Jazz Quartet, una probabile incisione con l'Ensemble di Gigi Di Gregorio e soprattutto, spero, tanti concerti con Jazzcom.

Collegamenti:
Recensioni del cd "Dummy and Human"
Intervista a Corrado Abbate
Recensioni del cd "Stultifera Navis"
Recensioni del cd "Speed Jazz"
Recensioni del cd "Brecce"