Michel Camilo - “Mano a mano” - Concord Music Group, 2011
Michel Camilo (Santo Domingo 1954) è uno straordinario pianista e compositore dalla solida preparazione classica (ha suonato ed inciso con importanti orchestre dominicane e americane), con una violenta passione per il jazz e per la musica popolare della sua terra. La miscela di queste sue radici musicali ha sempre prodotto risultati esplosivi.
Camilo si inserisce perfettamente nel grande crogiolo del jazz contemporaneo, nel quale sono confluite, nel corso degli anni, esperienze musicali molto diverse, provenienti da ogni parte del mondo. Il suo ultimo lavoro, Mano a mano, registrato in trio con il contrabbassista cubano Charles Flores e con il formidabile “conguero” portoricano Giovanni Hidalgo, è un esempio illuminante di jazz afro-caraibico evoluto.
Flores è un partner abituale di Camilo, con il quale si intende ormai ad occhi chiusi. Hidalgo è uno dei più grandi percussionisti viventi: puntuale, preciso, coerente, originale, mai invadente, con una tecnica impressionante, ma sempre al servizio della musica. Si direbbe che la sua presenza condizioni positivamente lo stesso Michel (un altro dotato di tecnica “trascendentale”), che qui, in effetti, riesce a non farsi “prendere la mano” dalle proprie doti, come in passato, talvolta, gli è capitato.
Il disco contiene otto “originals” e tre standard. Il brano di apertura (Yes, un “original” con tema all’unisono piano/basso sugli accordi di Donna Lee, sviluppato in chiave “salsa”) dà subito un’idea della fusione di elementi jazz ed afro-caraibici. Mi sono piaciute in modo particolare You and me (una specie di “bachata”, lirica ed ispirata) e Rumba pa’ ti (un’insolita rumba in 5/4 caratterizzata dalle magie ritmiche di Camilo e Hidalgo). Fra gli standard segnalo una bella versione della celebre Sidewinder di Lee Morgan, eseguita rigorosamente in stile latin-funk, che ricorda analoghe cose di Hancock degli anni ’60-’70, ed una stranissima Naima di Coltrane, sostenuta da un tappeto ritmico “latin”, ossessivo e prevalente.
C’è un limite paradossale in tutto questo: l’ascoltatore europeo, che non ha dimestichezza con la dimensione ritmico-melodica della musica caraibica, può trovare questo lavoro un po’ “ripetitivo”, e i brani tutti abbastanza simili fra loro, nonostante la ricchezza di contenuti musicali: è solo un’impressione superficiale, indotta perlopiù da quel tipo di formazione (piano, contrabbasso e congas), che non consente divagazioni timbriche significative.
Corrado Abbate - "il Reportage", 2011