Steve Coleman and Five Elements / Harvesting Semblances & Affinities

Steve Coleman and Five Elements - Harvesting Semblances & Affinities - Pi Records, 2010

 La musica jazz è nata dall’incontro, avvenuto sul suolo americano, fra le tradizioni musicali di origine africana importate dai neri e le strutture armoniche e formali della musica europea e ha continuato ad alimentarsi confrontandosi e fondendosi con tutte le culture musicali con le quali è entrata successivamente in contatto, da quella cubana a quella dominicana, da quella brasiliana a quella argentina. A poco a poco si è strutturato un linguaggio ricchissimo, che si è diffuso nel mondo, al quale hanno iniziato a contribuire anche aree culturali apparentemente lontane come quelle orientali. Il jazz contemporaneo è diventato una sorta di “world music”, forse l’unica vera “world music”, che non ha niente a che fare con quella legata agli evanescenti ed effimeri movimenti “new age”.

Steve Coleman, talentuoso altosassofonista di Chicago, ormai più che cinquantenne, maturato artisticamente a New York, nell’ambiente della musica creativa, da molti anni esplora questi territori di frontiera, con particolare riferimento alle tradizioni musicali legate alla diaspora africana. Harvesting Semblances & Affinities (Raccolta Sembianze e Affinità - sembra un titolo di Schekley o di Lafferty - varrebbe già la pena di comprarlo solo per quello…) è un’opera forte e matura che procede con sicurezza in quella direzione. Le strutture sono sempre più complesse, le parti scritte talvolta prevalgono su quelle improvvisate. L’esperienza della musica creativa si fonde con reminiscenze funk, poliritmie africaneggianti, strutture a canone. L’affiatamento dei Five Elements (il gruppo storico di Steve) è perfetto. Coleman al contralto, Jonathan Finlayson alla tromba, Tim Albright al trombone, Thomas Morgan al basso e Tyshawn Sorey alla batteria si fondono con la voce cristallina e precisa di Jen Shyu, che lascia intravedere nuovi orizzonti per il canto nel jazz.

I brani sono tutti molto belli, ma devo confessare una certa predilezione per quello più anomalo (meno “africano”), lo struggente Flos ut rosa floruit, reinvenzione di canto religioso medievale, con tanto di testo latino, da cui è veramente difficile staccarsi. In un mondo culturalmente esausto come il nostro, le poche novità sembrano provenire dagli incontri-scontri interculturali. La ricerca di Coleman non è più voglia di trasgredire, di rompere con il passato, ma è piuttosto un bisogno di riappropriarsi del passato stesso e di “aprirsi” alle culture diverse. E’ una sorta di “pensiero debole” musicale, nel senso che non pretende di sovvertire gli schemi, ma che si avvicina all’uomo, alle sue paure e alle sue sofferenze che, per quanto espresse in forme diverse, nella sostanza finiscono per assomigliarsi.

Corrado Abbate - "il Reportage", 2010

Collegamenti:
Esbjorn Svensson / Leucocyte
Steve Coleman and Five Elements / Harvesting Semblances & Affinities
Jack DeJohnette / Music we are
Rosario Giuliani / Lennie's Pennies
Antonio Faraò feat. Darryl Hall, André Ceccarelli / Domi
Joshua Redman / Back East
Michel Camilo / Mano a mano
Gonzalo Rubalcaba / Faith
C. Corea & S. Bollani / Orvieto
Jazz Accident feat. Fabrizio Bosso / Play Mobil
Mike Mainieri & Marnix Busstra Quartet / Trinary Motion
Dario Chiazzolino / Paint your Life